Marco Carta torna di nuovo al centro della cronaca poiché la procura della Repubblica ha scelto di ricorrere in appello contro l’assoluzione del cantante sardo per il tentato furto di 6 magliette alla Rinascente di Milano.

Il pm Nicola Rossato ha smontato la sentenza di fine ottobre e ha spiegato che il 34enne cantante sardo Marco Carta va condannato a 8 mesi perché contribuì al furto commesso con un’amica rimuovendo “le placchette antitaccheggio” e nascondendole “nel bagno”. Per il pm il giudice è stato “molto indulgente” nel credere al cantante, malgrado le dichiarazioni di un “teste oculare“. Il pm nel ricorso ha asserito di aver già dato conto nel primo grado, davanti al giudice Stefano Caramellino, “di quante volte gli imputati hanno mentito” nell’interrogatorio di convalida (il giudice non convalidò l’arresto di Carta, ma poi la Cassazione di recente gli ha dato torto) anche sulla base della “visione dei filmati di videosorveglianza”.
Malgrado ciò, si legge nel ricorso, il giudice ha ritenuto di “dare la prevalenza nella ricostruzione degli eventi al narrato degli arrestati (Fabiana Muscas si è assunta le responsabilità e per lei è stata decisa la messa alla prova, ndr)”, “rispetto a quello del teste oculare”. E ciò anche se “la genuinità delle relative dichiarazioni” dei due “è ovviamente inficiata dal rapporto di amicizia e dalla preoccupazione della Muscas” per “le conseguenze mediatiche della vicenda che potrebbero derivare a Carta”.
Il pm ha aggiunto che l’artista Marco Carta “nega il proprio coinvolgimento, ma non riesce a spiegare quando e in che modo la Muscas avrebbe preso i capi di abbigliamento da lui indossati nel camerino”, ossia le 6 magliette del valore di 1.200 euro. Per la Procura, che punta a smontare nel dettaglio tutti i passaggi delle motivazioni del verdetto, “l’intero percorso motivazionale” del giudice “parte dall’assunto che” il teste oculare, ossia l’addetto alla vigilanza della Rinascente, “non sia credibile e tutti gli elementi probatori a disposizione” sono stati “vagliati secondo tale prospettiva”.
Per questo la sentenza del giudice della VI sezione penale del Tribunale di Milano “risulta gravemente affetta da molteplici vizi e deve essere pertanto riformata”.